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lunedì 28 febbraio 2011

L'Italia dei Valori ospita il sindaco Aldo Corgiat

Venerdì 11/3/2011, alle ore 21, presso la sede del Cicolo IDV di Settimo, una serata davvero speciale, tutta dedicata ai temi del futuro di Settimo Torinese, dello sviluppo urbanistico e delle trasformazioni territoriali dela nostra città.
Ospite e relatore della serata il nostro Sindaco di Settimo Aldo Corgiat, che ha accettato gentilmente di fare appositamente per noi un'ampia presentazione delle principali trasformazioni urbanistiche che cambieranno significativamente il volto della nostra città. 
La relazione del Sindaco sarà accompagnata dalla proiezione di immagini e diapositive che illustrano in modo chiaro ed evidente i principali piani e progetti urbanistici previsti dal programma di governo, alcuni già in fase avanzata e di prossima realizzazione.
Tanto per fare degli esempi concreti, si parlerà di "Laguna verde", dell'area ex Standa, della Cascina Bordina, di Settimo Cielo/via Cebrosa, delle aree Pirelli/Ceat/Siva, delle più importanti modifiche delle infrastrutture e delle reti viarie e ferroviarie, ecc.
Nel corso della serata, sarà possibile intervenire liberamente, fare domande, chiedere chiarimenti, approfondimenti, spiegazioni, ecc,
Non è cosa di tutti i giorni poter dialogare in modo molto diretto ed informale con il Sindaco su temi di così grande importanza ed interesse per tutti cittadini
La serata sarà aperta alla partecipazione attiva di tutti i  nostri iscritti e simpatizzanti.

giovedì 24 febbraio 2011

Ma quale sicurezza?

Continua il nostro viaggio tra gli effetti della politica berlusconiana. Dopo economia e istruzione, diamo un'occhiata a cosa sta succedendo alla sicurezza, tanto decantata e tanto cara alla Lega.
L'articolo è tratto dall'edizione online del quotidiano torinese La Stampa.

Addio poliziotto di quartiere. I tagli della spesa pubblica, anche nel settore della sicurezza, il calo del personale (concorsi bloccati, chi va in pensione non viene sostituito) hanno fatto sparire uno dei simboli di nuova immagine della polizia, sintetizzata in uno slogan che oggi non si pronuncia quasi più, la «polizia di prossimità». Cancellato, nella realtà, già da tempo ma il de profundis finale porta la firma del vicecapo della polizia Francesco Gratteri. Poche righe inserite in una circolare dedicate alla riorganizzazione dell’Ufficio di prevenzione generale, il settore che coordina la centrale operativa e le volanti del 113.

Nella giungla delle sigle e degli acronimi, ne è spuntatyo uno nuovo, l’Uct, Ufficio Controllo del Territorio. La seede, i commissariati di zona. «Il servizio polizia di quartiere viene organicamente unificato in seno all’Upg e all’Sp, quale ulteriore momento strumentale all’operatività, anche perchè il conseguimento di alcuni obiettivi di prevenzione richiede spesso lo sviluppo di progetti di prossimità di “impatto” da svolgere in tutte le zone in maniera uniforme e con metodologie omomogenee...». Segue la constatazione di doversi misurare «con la generale riduzione delle risorse.

Tradotto in italiano, vuol dire semplicemente che i turni legati alla figura del poliziotto di quartiere non sono più sostenibili, poichè sono venute meno «le unità di riserva». Ma Non è finita. «Non può escludersi la necessità di una riduzione delle aree coperte dai servizi di vigilanza, prevedendo interventi correttivi sia in termini di modifica dell’estensione delle zone, sia mediante la predisposizione di diversificate forme di intervento di controllo del territorio...». Sempre cercando di tradurre dal burocratese, questo concetto parrebbe - forse - significare, in sostanza, questo: non possiamo più tenere sotto controllo tutte le aree delle metropoli per mancanza di uomini e mezzi, per cui aumenterà l’uso delle telecamere e di altre forme di “presenza”, coordinando meglio le risorse superstiti, ancche perchè, di risorse, non ce ne sono più. E poi prove di federalismo, anche nel campo della sicurezza e della prevenzione.

Il ministero dell’Interno vuole coinvolgere le amministrazioni, attraverso le polizie locali, per condividere almeno una parte del controllo del territorio. Ci sono troppi «doppioni», troppe forze sprecate o usate in modo poco efficace. Il buon senso suggerirebbe un più efficace lavoro di squadra tra le forze dell’ordine.

Critico il sindacato. Massimo Montebove, dell’esecutivo nazionale Sap: «Il ministero cerca di usare quel poco che ha. E’ da tempo che contestiamo le scelte penalizzanti del governo, adesso è finita anche la fase di un “mascheramento” dei problemi in campo. Sparisce il poliziotto di quartiere, si ammette che non tutte le aree metropolitane potranno essere tenute sotto sorveglianza. Insomma, una ritirata strategica. I poliziotti diminuiscono di numero e si alza l’età media. Le assunzioni sono poche. A chi verranno affidati i servizi operativi? Ai cinquantenni o agli ultraquarantenni? E poi l’istituzione dell’Utc è un modo per indebolire i commissariati. Il comando vero è delegato alla questura centrale. Si perde così l’idea di decentrare la rete di controllo. Per noi, una sconfitta».

giovedì 17 febbraio 2011

Gli effetti della riforma Gelmini

Iniziano a vedersi gli effetti della riforma universitaria, anche qui a Torino, come riporta LaStampa.

Precari della ricerca fuori dalla commissione statuto (nominata ieri) anche al Politecnico, come una settimana fa in Università. La categoria più bastonata dalla riforma Gelmini che ha azzerato borse di studio e contratti a termine, non avrà rappresentanza al tavolo che scriverà le nuove regole dell’ateneo. Ci saranno invece sei ordinari (Canuto, Rossetto, Farale, Mellano, Poggiolini e Morra), due associati (Damuri e Oreglia), due ricercatori (Foti e Torchio) e due studenti (Baglivo e Rossi).

Per i precari un'esclusione che viene dopo la consegna di 650 firme al rettore per chiedere un posto in Commissione e che si aggiunge ai tagli della legge considerati «un colpo di spugna drammatico».

Quantificare i posti di lavoro andati in fumo dall’entrata in vigore della legge (fine gennaio) è quello che Università e Politecnico stanno tentando di fare in queste settimane, cercando di sfruttare ogni cavillo per mantenere «più borse possibili - dicono per esempio dal rettorato di via Verdi - per tutelare l'interesse di tutte le parti». Anche il rettore del Politecnico, Francesco Profumo, ha assicurato: «Terrò conto delle istanze dei precari». Dichiarazioni ancora vaghe che tentano di gettare acqua sul fuoco, ma la situazione è rovente: «Siamo di fronte ad un piano di licenziamento di massa» dicono i precari. All'Università sono 1.600; circa mille, secondo la legge, dovrebbero uscire dall'ateneo. Al Politecnico manca ancora un dato ufficiale, ma sono settecento gli assegnisti che si troveranno nella stessa situazione tra uno o due anni, ai quali vanno aggiunti gli oltre duecento studenti per i quali non sarà più attivabile nessuna borsa post dottorato.

Lo sfogo è unanime: «Ci sentiamo intrappolati nel paradosso di una società che a parole punta sulla ricerca, ma nei fatti e con gli stanziamenti dimostra il contrario». Valentina Barrera, 28 anni, un dottorato in tasca e tre anni di ricerche mediche alle spalle dice: «Non so ancora se la mia borsa, al massimo mille euro al mese, verrà finanziata. Siamo in un limbo preoccupante: conveniamo alle aziende come collaboratori esterni qualificati, ma in cambio ci offrono ancora meno tutele dell’Università».

mercoledì 9 febbraio 2011

L'economia secondo Berlusconi

La Repubblica di oggi riporta un interessantissimo articolo del professor Tito BOERI, docente all'Università Bocconi di Milano.
Ci sembra utile trascriverlo qui, per avere un'idea un po' più precisa di cosa sia in realtà la cosiddetta "frustata" che il governo si appresta a dare alla nostra malandata economia.

IL governo oggi si accorgerà finalmente che bisogna fare qualcosa per la crescita in Italia.

Se ne accorgerà Mille e otto giorni dopo il suo insediamento, con gli italiani che hanno nel frattempo perso in media 1000 euro di reddito a testa e con un milione tra disoccupati e cassintegrati a zero ore in più. Non è mai troppo tardi per tornare a crescere. E si possono fare tante riforme utili per lo sviluppo del Paese a costo zero, senza dover necessariamente impegnare nuove risorse, dopo che il debito pubblico ha superato il 120 per cento del prodotto interno lordo. Ma bisogna volerlo fare. Soprattutto quando non ci sono risorse da mettere sul piatto, occorre investire molto capitale politico nel costruire alleanze trasversali in grado di vincere l'agguerritissima resistenza al cambiamento. Ad altre attività sono state destinate sin qui le energie e le risorse personali del nostro presidente del Consiglio. Abbiamo così dovuto accontentarci degli annunci, reiterati grazie all'occupazione dello spazio televisivo.

Quattro i piani casa annunciati dal giugno 2008. Sin qui sono stati di carta. Non ci risulta infatti che sia stata posata la prima pietra per la costruzione di una qualche nuova casa. La riforma fiscale doveva essere la "riforma del secolo" ed era data come approvata entro il 2010. Avrebbe dovuto alleggerire il carico fiscale sul lavoro e sui fattori produttivi spostandolo sulle rendite, anche a parità di gettito. Non solo la riforma non c'è stata, ma con il decreto sul federalismo

comunale che il Governo ha cercato di varare la scorsa settimana nonostante il voto della bicamerale si aumenta il prelievo sulle imprese e sui lavoratori autonomi riducendo ulteriormente le tasse sugli immobili. Il neo presidente della Consob, Giuseppe Vegas, che ha votato la fiducia a Berlusconi dopo la sua nomina sancendo che la sua è un'autorità dipendente, ribadisce che non si aumenterà il prelievo sulle rendite finanziarie. Chi guadagna comprando e vendendo azioni (in genere persone con redditi elevati) continuerà ad essere tassato ad un'aliquota pari alla metà di quella di chi ha solo un reddito da lavoro ai minimi della scala retributiva. Insomma l'unica riforma fiscale all'orizzonte è più tasse su chi lavora, meno sulle rendite.

Quella della pubblica amministrazione sembrava l'unica vera riforma economica di questo esecutivo. Avrebbe potuto ridurre molte inefficienze che gravano su famiglie e imprese. Ma la riforma Brunetta è stata cancellata ancor prima di entrare in vigore. Dapprima la manovra ha posto tetti alla crescita delle retribuzioni nel pubblico impiego in modo del tutto indiscriminato, in barba ai premi al merito introdotti dalla riforma Brunetta, poi le autorità di valutazione non sono state messe in condizione di operare, costringendo alle dimissioni i valutatori. Infine, l'accordo appena concluso con Cisl e Uil nega la possibilità stessa che si possano retribuire in modo diverso dirigenti e impiegati: non ci saranno né penalizzazioni, né incrementi retributivi per i più bravi. Siamo tornati all'egualitarismo retributivo più piatto. Avremo così, alla luce degli insulti destinati in questo periodo ai dipendenti pubblici, un'amministrazione non solo non motivata, ma addirittura demotivata. Anche chi trovava stimoli pensando alla propria funzione sociale, rischia di ritenere inutile ogni suo sforzo per migliorare la qualità del servizio offerto ai cittadini.

L'emblema del disinteresse dell'esecutivo riguardo alla crescita economica è nell'abolizione di fatto del ministero dello Sviluppo economico, prima lasciato vacante e poi affidato a chi, da viceministro, ha agito come lobbista di Mediaset a Bruxelles cercando di impedire l'ingresso di Sky nel digitale terrestre e poi, da ministro, si occupa di scrivere esposti all'Agcom contro i conduttori televisivi rei di criticare Silvio Berlusconi. La Lega aveva chiesto di spostare qualche ministro a Milano. Non sapevamo che la sede prescelta per Paolo Romani fosse Cologno Monzese.

L'elenco potrebbe continuare. Il fatto è che nei Paesi che non hanno smesso di crescere i governi di centro-destra si concentrano almeno sulle liberalizzazioni dei mercati. Sin qui il popolo delle libertà ha solo proceduto scientificamente a smantellare le libertà introdotte dal governo di centro-sinistra precedente. Depotenziate in tutti i modi le autorità di regolazione dei mercati, quelle che combattono i monopoli, norme che riducono la concorrenza nel settore farmaceutico, delle assicurazioni, del gas, infilate con tuta mimetica in disegni di legge che si occupano di tutt'altro, come denunciato ampiamente dall'Autorità Garante della Concorrenza e dei Mercati. Quest'ultima era già stata messo non in condizione di sanzionare dal decreto Alitalia che ripristina il monopolio sulla tratta Milano-Roma. Testimone degli intenti liberalizzatori del governo è il disegno di legge sulla professione forense: reintroduce le tariffe minime, "inderogabili e vincolanti", vieta ai giovani avvocati di competere sul prezzo con chi è già ben avviato, offrendo e facendo pubblicità a prestazioni a costi più bassi. Questo significa costi legali più alti per cittadini e imprese.

Alla luce di tutto questo le proposte di modifica dell'art 41 della Costituzione sulla libertà d'impresa, un articolo che non ha sin qui impedito ad alcuna impresa di nascere in Italia, sembrano avere l'unico intento di prendere tempo gettando la palla in tribuna.

Ci accontenteremmo allora che oggi il governo tornasse lì dove aveva ricevuto il testimone, ritirando il disegno di legge sulla riforma dell'ordine forense come già chiesto da Mario Monti sul Corriere della Sera domenica, imponendo anche agli altri ordini professionali di procedere negli adempimenti previsti dalle lenzuolate di Bersani. Ci basterebbe che istituisse finalmente l'autorità indipendente di regolazione dei trasporti e, in particolare, del settore ferroviario, dove più urgente appare l'applicazione di regole trasparenti, certe e non discriminatorie a fronte dell'ingresso di nuovi operatori. Vorremmo che avviasse per davvero la liberalizzazione delle Poste senza affidare a Poste Italiane il compito improprio di sportello della Banca del Sud, riducendo la concorrenza anche nel settore bancario. Vorremmo che premiasse i Comuni che procedono alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali, sanzionando quelli che vi oppongono resistenza. Qualora, come probabile, questo desiderio non venisse esaudito, sarebbe bello vedere questi intendimenti raccolti dalle forze all'opposizione. Sarebbe una dimostrazione tangibile del fatto che oggi in Italia c'è davvero un'alternativa, qualcuno che bada al sodo e non solo agli annunci. 

sabato 5 febbraio 2011

Ancora sul caso Fiat: il punto di Antonio Di Pietro



Adesso che col ricatto è riuscito a imporre agli operai di Mirafiori un accordo che calpesta tutti i loro diritti, Sergio Marchionne non ha più bisogno di mentire. Può cominciare a dire apertamente quello che finora aveva sempre negato, mentre tutti, tranne noi dell'Italia dei Valori, gli credevano o facevano finta di credergli. Solo noi avevamo denunciato che l'intenzione della Fiat era quella di abbandonare l'Italia e di spostare la testa dell'azienda negli Usa e il grosso della produzione in Brasile e nell'est europeo. Altro che rilancio dell'Italia!
Per costringere i lavoratori a ingoiare il suo accordo, che è uguale a quello imposto nel 1925 sotto regime fascista, Marchionne ha detto che in caso contrario se ne sarebbe andato dal paese. Però aveva promesso che, se invece gli operai si fossero piegati, la Fiat sarebbe rimasta in Italia e avrebbe fatto nuovi investimenti. Pur di non restare senza lavoro, molti operai hanno scelto di subire il ricatto, anche se la metà almeno ha invece resistito e votato no all'accordo.
Era una bugia e adesso è proprio Marchionne a confermarlo. Quando dice che la Fiat e la Chrysler potrebbero unificarsi e che l'azienda torinese si potrebbe spostare a Detroit, conferma tutto quello che avevamo denunciato noi dell'Italia dei valori insieme alla Fiom. La Fiat non ha alcuna intenzione di rimanere in Italia, e neppure di continuare a fare dell'auto il proprio settore portante. Però vuole che il costo della sua riconversione e della sua ridislocazione lo paghino i suoi lavoratori e lo Stato italiano, cioè i cittadini. Tutti noi.
La Fiat continua a vivere di denaro pubblico e risorse finanziarie italiane. Ha superato le sue molte crisi, ultima quella quasi terminale del 2004, grazie alle continue trasfusioni del governo italiano, senza mai dare niente in cambio. Stavolta però le cose sono molto peggiori che nel passato. Stavolta la Fiat utilizza quelle risorse per lasciare l'Italia, provocando così un immenso danno al sistema industriale del nostro Paese, e questo attentato al sistema industriale italiano se lo fa anche finanziare dallo Stato.
Il suo lavoro Marchionne lo fa davvero bene. Peccato che il suo lavoro non sia vendere macchine, cosa che infatti alla Fiat non riesce più da un po', ma fare gli interessi degli azionisti, cioè della famiglia Agnelli, a spese dei lavoratori e dell'intera Italia.
Per spiegare lo spostamento negli Usa, Marchionne dice che in Italia si fa troppa politica. Ma se è proprio lui quello che fa politica, di quella con la “p” minuscola, più di tutti! Da due anni fa propaganda sbandierando 20 miliardi di investimenti. Ma dove stanno? La Fiat ha annunciato che investirà un miliardo a Mirafiori e 700 milioni a Pomigliano. Mancano all'appello 18 miliardi e 300 milioni, e intanto lo stabilimento di Termini Imerese sta per chiudere, a Pomigliano i lavoratori sono in cassa integrazione, quello di Melfi lavora solo al 60%. Non bisogna essere Sherlock Holmes per capire che qualcuno sta facendo il furbo.
Però tutti fanno finta di non capirlo e il governo italiano, invece di far valere i diritti maturati sostentando per decenni la Fiat, si comporta come lo zerbino di Marchionne e pur di compiacere un'azienda che sta accoltellando alle spalle l'Italiaha sfasciato Confindustria, spaccato i sindacati, demolito il sistema di relazioni industriali in Italia.
In qualsiasi paese del mondo, in questo momento il governo starebbe già intervenendo per impedire questo disastro. Lo hanno fatto in passato, la Francia e la Germania. Lo farebbe qualunque governo serio. Ma non lo farà questo governo di pagliacci, di corrotti e di corruttori, che usa la corruzione per restare al potere, e poiusa il potere per curare i fatti propri. E intanto guarda da un'altra parte mentre Marchionne, dopo aver incassato il malloppo, prende i soldi e scappa.